La vite maritata, ha una storia molto antica e importante in terra lucana, ma dobbiamo fare un passo indietro per conoscerla. Siamo abituati a considerare la vite della Basilicata, come derivazione della colonizzazione greca, eppure non vanno trascurati altri “capitoli storici” relativi alla terra italica.
La vite maritata
La vite allevata ad alberello basso con un palo a sostegno rappresenta una forma di coltura specializzata greca. Invece, il sistema di allevamento della vite, cresciuta alta su alberi veri e propri, è etrusca e consentiva al contempo la coltura dei cereali. La vite selvatica si arrampicava con i tralci naturalmente fra le chiome degli aceri, dei pioppi, degli olmi. Questa è la vite maritata, perché si sposa con l’albero che la sostiene.
Gli etruschi avevano rapporti e commerci molto ampi. Basta pensare che nella casa dei Vettii a Pompei, c’è un fregio che raffigura una scena di viti maritate. Vi sono dei putti che raccolgono, pigiano e mettono nelle anfore uva e liquido da essa ricavato. Questa tradizione vitivinicola ha un che di romantico che s’incrocia con la terra lucana. Al riguardo, l’uva “ASPRINIO” ormai diventata produzione rara, si coltiva ancora nel Comune di Ruoti in provincia di Potenza.
La vite maritata e l’Asprinio di Ruoti
Da quest’antica uva, di origine maritata, si produce un pregiatissimo vino bianco frizzante chiamato “L’asprinio di Ruoti”. Dissetante e diuretico si accompagna bene tutto il pasto. Come dicevamo, ha origini molto antiche, con una vigoria molto buona, che vede nella coltivazione “alberata”, appunto, la sua espressione migliore.
Ha anche una produttività molto abbondante. Matura verso i primi di ottobre e presenta grappoli di media grandezza con acini dalla buccia grigio-verde. Tornando agli etruschi, da cui moltissimo abbiamo imparato, dobbiamo dire tuttavia che questo nobile popolo è stato probabilmente il primo in Italia a coltivare la vite a partire dalle varietà selvatiche. La vite era una pianta che vedevano nel loro ambiente naturale boscoso, di cui avevano già imparato a raccogliere i frutti nei boschi. Più tardi, essendo grandi mercanti, ebbero contatti sempre più intensi con altri popoli del Mediterraneo e il resto è storia.
Gli etruschi e il vino
La vite è un arbusto rampicante, una specie di liana. Nel bosco, il suo ambiente naturale, tende ad arrampicarsi su un albero per raggiungere il più possibile la luce. Non è però una specie parassita, poiché non interferisce con l’albero su cui s’aggrappa. Questa modalità di coltivazione di derivazione etrusca è detta appunto vite maritata. La vite è come “sposata” all’albero a cui s’avvinghia, e resiste. La definizione non è d’epoca etrusca ma nacque più tardi.
Gli Etruschi sembra che l’indicassero col termine di àitason. Questa pratica, sembra che esistesse già all’età del Bronzo, comunque almeno dal XII sec. a.C. In ogni caso, la vite selvatica, Vitis vinifera sylvestris, è una specie autoctona dell’area mediterranea e, soprattutto in Italia, trova le sue condizioni ideali. Ancora oggi è possibile trovare viti selvatiche nei nostri boschi.
Vini lucani
Comunque, bisogna far attenzione a distinguerle da viti coltivate inselvatichite, di vecchi vigneti abbandonati. Le varietà che coltiviamo oggi, derivano dalla vite selvatica, modificata attraverso millenni di selezioni ed incroci attuati dall’uomo. Proprio come accade per l’Asprinio di Ruoti. La vite coltivata ancora dai contadini delle campagne ruotesi, di recente si sta cercando di recuperarla al meglio. Il vitigno autoctono per una sua rivalutazione e valorizzazione delle produzioni, essendo a rischio di estinzione è oggetto di studio. Negli anni scorsi si è tenuta una giornata di studi sul vitigno autoctono dell’Asprinio ruotese con esponenti di varie università. Tra gli altri era presente il prof. Severino Romano dell’Università degli Studi della Basilicata e direttore della Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali.